Ah, ecco!

Tramonto di un assolato pomeriggio di inizio autunno. Parcheggio di un supermercato qualunque.

Dovendo acquistare alcuni prodotti di cui mi ero reso conto essere rimasto a corto, tipo un docciaschiuma, un pacco di biscotti per colazione e uno di gelati (perché quando sei lì e li vedi che fai? non li prendi?) vado a fare una piccola spesa.

Nonostante l’estate sia ormai al termine, è ancora caldo.
Sono da due giorni in ferie e, nel mio poco istituzionale vagabondare pomeridiano tra piccoli impegni, indosso quanto di più “casual” – anzi, trucido – sia possibile.
Abbigliamento di Riccardo: bermuda mimetico con tasconi, maglietta grigia melange con un’inequivocabile artgraph di combattente partigiana curda a forma di stella “rossiccia” che lascia ben pochi dubbi sulle mie idee (qualora qualcuno ne avesse, specie i funzionari UE alla luce delle loro ultime risoluzioni) e scarpe sportive.

Dopo l’acquisto dei prodotti, vado alla cassa, dove l’addetta per un problema al POS mi chiede la carta per 3 volte prima di poter riuscire a pagare con successo.

“Mmmh..” mi dico. La giornata già non era partita molto bene: in mattinata, tra un impegno e l’altro, essendo in anticipo per il pranzo da un’amica che avevo in agenda, decido di portare al lavaggio a rulli la macchina, anche in vista del matrimonio in vista per il giorno successivo. Bene, quando vado a pagare ecco che si blocca la colonnina, la quale letteralmente impazzisce e mi fa perdere mezz’ora col ragazzo dell’impianto per cercare di sbloccarla (anche perché oltre a me non avrebbe potuto usarlo nessun altro). Niente da fare, il lavaggio non va. Vengo gentilmente rimborsato e me ne vado di corsa al pranzo che mi aspettava.

Dopo pranzo ritento, sempre là: l’impianto pare funzionante e infatti questa volta il pagamento va a buon fine e il lavaggio parte. A metà però si blocca e la mia macchina rimane sotto i rulli mezza insaponata. Anche lì, dopo una tonnellata di improperi, riesco a riprendere la macchina, venendo rimborsato di nuovo, per poi andarmene.

Mi fiondo con la macchina piena di schiuma all’altro lavaggio a poche centinaia di metri (quello storico, da cui mi servivo prima che aprissero il nuovo impianto).
Pago. Il lavaggio parte. Prima passata. Shampoo su shampoo. Seconda passata, il risciacquo. A metà i rulli si fermano sulla fiancata della macchina mentre le spazzole lavacerchi puliscono le ruote anteriori.

Passa un minuto. Due. Tre. Forse anche quattro.

I rulli continuano a girare vorticosamente senza essersi spostati di un solo centimetro verso il posteriore. “Oddio… ma si è bloccato? – penso – …cazzo, sono minuti che è fermo lì nello stesso punto, mi righerà tutta la carrozzeria!”. Premo subito il tasto “Emergenza” e l’impianto si blocca. Chiamo il tizio del servizio. Dopo qualche istante riusciamo a liberare la macchina sfrenandola e spingendola all’indietro (dato che coi rulli all’altezza delle portiere non potevo nemmeno entrare). Mi rimborsa anche lui (in gettoni e non in contanti) e quindi decido di finire il lavaggio con la lancia a pressione. Mettiamo una toppa e vaffanculo tutto!

Comincia a essere particolarmente chiaro che non è proprio giornata, ma torniamo a noi.

Dopo questa serie di ridicole situazioni, prima di cena appunto, vado a fare spesa.

Quando arrivo al supermercato vedo un posto comodissimo in mezzo ad altre auto, a due metri dalla porta d’ingresso. E’ però un posto riservato agli invalidi, quindi vado oltre e parcheggio più avanti.

Fatta la spesa (con l’intoppo del pagamento di cui raccontavo sopra), esco e vado verso la macchina. Nel momento in cui esco dalla porta con la busta in mano arriva a tutta birra una signora con la macchina che quasi mi mette sotto. Balzo all’indietro, lei passa. Sta parlando al telefono.

Vado verso la macchina mandandola al diavolo tra me e me, quando vedo che lei parcheggia nel posto dei disabili. A un metro dalla mia auto mi fermo.

Lei scende, mi guarda, pensando che forse le volessi dire qualcosa in merito al mezzo investimento, quando me ne esco con un “Bel parcheggio eh!”.

“Perché!??” ribatte lei non capendo la mia allusione.

Io non faccio altro che indicarle col braccio teso, l’indice puntato e facendo un movimento all’insù con la testa le strisce gialle a terra, l’area di scarico carrozzelle e il simbolo azzurro su cui ha piazzato il suo catorcio.
Lei bofonchia qualcosa – tipo: “Voi… blablabla… sempre a rompere… blablabla… blablabla… (incomprensibile)” – e poi la tanto attesa frase, evidentemente notando la mia maglietta – “Tanto dura poco anche qua, che ce pensa Salvini.

Rimango un attimo così. Io le ho fatto notare che ha parcheggiato in un posto disabili senza averne apparentemente diritto solo perché evidentemente non ha voglia di fare 5 metri in più, quindi una cosa di puro rispetto e senso civico, e lei ci tira in mezzo la politica e Salvini?

Busta in mano, rimango mezzo secondo sbigottito, poi chiudo la conversazione: “Ah ecco…. mi scusi signora se l’ho ripresa, ho capito. Ha tutto il diritto di parcheggiare lì. Mi perdoni”.

Salgo in macchina. Metto in moto. Parto.

Ciao.

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